Mentre scrivo questo articolo sono sdraiata sulla sabbia di Marina di Massa, a godermi il primo sole. Questo è il posto dove mia mamma trascorreva le sue vacanze estive quando era piccola e come ogni anno, io e lei ci rechiamo qui in giornata per respirare un po’ di aria di mare. Mentre prendo il sole osservo il panorama e cerco qualche bella inquadratura per scattare alcune foto, così ho pensato di scrivere un articolo a riguardo…
E’ necessario sentirsi coinvolti in quello che si ritaglia attraverso il mirino (…) E’ mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. E’ un modo di vivere.
(Henri Cartier-Breson)
In viaggio mi piace fotografare e se dovessi scegliere un solo oggetto da portare con me, sarebbe senza ombra i dubbio la Pentax, la mia amatissima macchina fotografica. Durante il viaggio non la mollo mai, credo che ogni minuto possa essere importante, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e lo stupore non ha dimensioni temporali, quindi meglio essere sempre attrezzati. Non voglio essere fraintesa, non mi piace fotografare a caso, ogni scatto deve suscitare un ricordo, uno stato d’animo e ricollegare la mente agli attimi vissuti in quel luogo.
Mi piace fotografare per documentare, sperando di riuscire a trasmettere un pezzettino delle mie emozioni anche a chi è a casa ad aspettarmi, curioso dei nuovi racconti. Mi impegno perché siano significative e belle esteticamente, seguendo alcune piccole regole riguardo l’angolazione, la luce, gli sfondi, i soggetti e i parametri dei tempi e dei diaframmi regolati ad hoc. Non amo ricorrere all’utilizzo dei filtri, penso che l’immagine debba rispecchiare la realtà. La fotografia è soggettiva ed è dall’inquadratura che si decide cosa trasmettere. Infatti,
…la fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha.
(Neil Leifer)
E’ stato il mio papà a trasmettermi questa passione e mi ha insegnato qualche tecnica del mestiere.
La fotografia in viaggio, per me, ha plurimi obiettivi: raccontare, comunicare, ricordare, emozionare, documentare e offrire nuove finestre sul mondo. In realtà, credo che solo il vissuto emotivo di chi l’ha scattata renda l’immagine veramente significativa. I paesaggi sono quelli che, a mio avviso, raccontano maggiormente, ci danno l’idea di dove siamo stati, aiutano a collocarci sulla terra, ma la maggior parte delle volte trasmettono contenuti superficiali. Spesso una fotografia di questo tipo, poco racconta sugli stili di vita, le culture e le usanze dei popoli locali, infatti mi piace soffermarmi sui dettagli (prezioso consiglio del mio papà) e soprattutto sui volti umani. Questi portano l’osservatore ad una profonda riflessione. Ad esempio, quando mi trovo di fronte ad una fotografia che ritrae una persona, mi soffermo sull’espressione, mi suggerisce informazioni circa lo stato d’animo in quel momento, gli abiti e le acconciature testimoniano le abitudini di vita, dai tratti somatici riconosco la provenienza e…credo proporio che questi scatti parlino da sé.
Fare ritratti alle comunità locali, in giro per il mondo, è però complicato. Immaginate se il turista “straniero”, in visita nel nostro paese, puntasse continuamente l’obiettivo all’interno della nostra quotidianità, nelle nostre case e nei nostri affetti, oltrepassando con disinteresse la privacy. Non dobbiamo mai dimenticarci che siamo ospiti e di conseguenza dobbiamo adeguarci e rispettare le loro regole. Sarebbe buona norma domandare sempre prima di scattare e ho imparato ad accettare anche i “no“…in certi casi penso sia un vero peccato, ma rispetto le volontà altrui.
D’altro canto, fare ritratti credo sia un buon presupposto per incontrare e conoscere le culture locali, per integrarsi con i loro usi e costumi, per dialogare e conoscere persone amiche, avvicinandoci sempre in punta di piedi. Secondo la mia logica, questo è “apprendimento“. Rispetto, sensibilità e correttezza reciproca sono i valori che dovrebbero guidare ogni azione umana.
Oggi, credo che la fotografia abbia perso alcuni dei propri valori, o meglio ne abbia acquisiti dei nuovi. Troppo spesso viene utilizzata per scopi esclusivamente individualistici ed egocentrici: pare che lo scopo sia diventato quello di fare vedere al mondo intero la propria vanità, i propri abiti firmati, le proprie pose, le proprie uscite fuori porta e anche nei viaggi credo che a volte lo si faccia solo per un “far vedere”, tralasciando ogni altro valore. Il discorso presenta molteplici sfaccettature e meriterebbe molti approfondimenti, ma vorrei condividere una riflessione:
Fermare e catturare il fluire delle esperienze è diventato quasi un obbligo senza il quale sembra che l’esperienza stessa non sia degna di essere vissuta o ricordata. Ci si sorprende così a girare con la macchina fotografica appesa al collo, scattando in continuazione fotografie, invece di vivere le situazioni, finendo con il sostituire, in modo non totalmente consapevole e voluto, l’esperienza immediata del mondo con quella mediata dallo strumento fotografico. L’uso esagerato della fotografia, porta con sé il rischio che da strumento di vicinanza alla realtà essa possa diventare strumento di distacco.
(dal libro “Documentare le progettualità” di L. Malavasi e B. Zoccatelli)